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Il gratta e vinci è perdente: la mamma uccide la figlia. E la ragazza era d’accordo

Il punto da cui è partito tutto: “Se non vinciamo alla lotteria ci ammazziamo”. Mamma e figlia avevano deciso di affidare entrambe le loro vite ad un gratta e vinci, in sunto: se fosse risultato vincente avrebbero potuto goderne e mettere un punto ai loro problemi economici, in caso contrario si sarebbero ammazzate. Con questo premessa Anna Cipresso, di anni 67, ex infermiera dell’ospedale Civico di Palermo, la sera del 19 luglio 2014, aveva ucciso la figlia Elisabetta.

La modalità prescelta per porre fine alle loro vite era un mix letale di farmaci, a causa di cui difatti è morta Elisabetta. L’intenzione di Anna sarebbe stata quella di seguire a ruota la figlia utilizzando la medesima tecnica, ma l’esecuzione non ebbe il successo sperato, rendendo così l’ex infermiera un’omicida in tutto e per tutto. Come riportato da PalermoToday, adesso la donna è stata condannata a tre anni con il rito abbreviato per omicidio del consenziente, un capo d’accusa che prevede pene da 6 a 15 anni. (Continua dopo le foto)


Il gup Giuliano Castiglia ha deciso di accogliere in gran parte le tesi della difesa dell’imputata, rappresentata dall’avvocato Antonio Cacioppo, riconoscendo alla donna la parziale incapacità di intendere e di volere al momento degli accadimenti. Per contro, il sostituto procuratore Renza Cescon aveva richiesto una condanna a sei anni di carcere. Il corpo esanime di Elisabetta Cipresso fu rinvenuto in una stanza dell’Hotel Archirafi di via Lincoln a Palermo. Insieme a mamma Anna che, sporca di sangue, aveva allertato il personale dell’albergo. Anna Cipresso venne sottoposta a fermo e poi rilasciata. Secondo il racconto di mamma Anna, quella sera lei e la figlia Elisabetta sarebbero arrivate in hotel portando con sé il bottino composto da diversi biglietti della lotteria istantanea. Nella stanza ne furono poi rinvenuti a decine, insieme a numerose confezioni di farmaci. (Continua dopo le foto)

Una volta che alcun gratta e vinci risultò vincente, le due donne decisero di comune accordo di farla finita. In seguito, agli inquirenti, Anna Cipresso spiegò che la figlia si sarebbe comunque ammazzata da sola. Lei “per amore, per accompagnarla nel suo percorso, per non restare sola” aveva deciso a sua volta di suicidarsi. La teoria della procura non coincise mai con tale ricostruzione, poiché si arrivò alla conclusione che fosse stata l’imputata ad iniettare del Propofol alla figlia. Un farmaco dall’effetto quasi immediato, impossibile per chiunque da iniettarsene una dose massiccia senza prima perdere i sensi. Una perizia ha effettivamente messo un punto sul fatto che l’imputata non fosse pienamente in grado di intendere e di volere il 19 luglio di sei anni fa. Un dato che la Procura aveva chiesto di ignorare, ma che il giudice ha invece preso in considerazione.

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