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Che cosa non darei per la memoria di una strada sterrata fra muri bassi

Elegia del ricordo impossibile” è una poesia degli anni più maturi di Jorge Luis Borges (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), quando il poeta registra le emozioni della memoria e tenta un bilancio della propria vita. In questi bellissimi versi ripercorre la strada dei ricordi perduti, o meglio di quelli che avrebbe voluto avere, delle esperienze che avrebbe voluto vivere. Sono ricordi di famiglia, come quello della madre ragazza o del padre nell’ultima sera della sua vita o ricordi di antenati coraggiosi come il bisnonno Colonnello Suarez e il nonno Francisco Borges. Sono ricordi di eventi remoti come la partenza delle navi danesi nelle saghe nordiche, come la sera in cui Socrate, condannato a morte, si sedette a bere la cicuta. Sono ancora ricordi di altre persone, sono i desideri che non si sono appagati, sono le felicità che abbiamo soltanto immaginato, sono i sogni che abbiamo creduto veri. In questa poesia, tratta da “La moneta di ferro” del  1976, Borges esprime la nostalgia delle strade non prese, del non vissuto, delle rose non colte, dell’amore mai posseduto.

 

Che cosa non darei per la memoria
di una strada sterrata fra muri bassi
e di un alto cavaliere che riempie l’alba
(lungo e sdrucito il poncho)
in uno dei giorni della pianura,
un giorno senza data.
Che cosa non darei per la memoria
di mia madre che contempla il mattino
nella tenuta di Santa Irene,
ignara che il suo nome sarebbe stato Borges.
Che cosa non darei per la memoria
d’essermi battuto a Cepeda
e di aver visto Estanislao del Campo
salutare la prima pallottola
con l’esultanza del coraggio.
Che cosa non darei per la memoria
di un portone di villa segreta
che mio padre spingeva ogni sera
prima di perdersi nel sonno
e spinse per l’ultima volta
il 14 febbraio del ’38.
Che cosa non darei per la memoria
delle barche di Hengist,
mentre perdono il mare dalle sabbie danesi
per debellare un’isola
che ancora non era l’Inghilterra.
Che cosa non darei per la memoria
(l’ho avuta e l’ho perduta)
di una tela d’oro di Turner,
vasta come la musica.
Che cosa non darei per la memoria
di aver udito Socrate
quando la sera della cicuta
serenamente analizzò il problema
dell’immortalità,
alternando i miti e le ragioni
mentre la morte azzurra lo invadeva
dai piedi fatti gelidi.
Che cosa non darei per la memoria
di te che avessi detto che mi amavi
e di non aver dormito fino all’alba,
straziato e felice.

 


 

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