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Il fidanzato di Silvia Provvedi “prelevato alle 4 del mattino”: i retroscena dell’arresto

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Dopo l’arresto del suo fidanzato, Silvia Provvedi ha scelto il silenzio. Poche ore dopo l’uscita della notizia, la cantante, che condivide il profilo Instagram con la gemella Giulia, ha deciso di bloccare l’opzione per rilasciare commenti sotto ai post. Giorgio De Stefano, 39 anni, è diventato papà di Nicole, la figlia avuta da Silvia, da meno di una settimana ed è tra le 20 persone arrestate in tutta Italia nell’ambito dell’operazione condotta contro i clan della ‘ndrangheta di Reggio Calabria De Stefano Tegano e Libri.

Le accuse contro di lui sono associazione mafiosa, estorsione a imprenditori e commercianti, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa. Figlio di un boss della ’ndrangheta, a Milano gestiva un locale frequentato dai vip, l’Oro Restaurant sui Bastioni di Porta Volta. (Continua dopo la foto)


Ora è il Corriere della Sera a ricostruire come sono andate le cose la notte dell’arresto. Mercoledì 24 giugno alle quattro del mattino i poliziotti delle squadre Mobili di Milano e Reggio Calabria lo hanno prelevato. Ma Giorgio De Stefano non era a casa sua, ma in quella della ‘cognata’ Giulia Provvedi. Il motivo? Il condizionatore rotto nell’appartamento che ora divide con Silvia e la figlia neonata. (Continua dopo la foto)

“Quando è suonato il citofono, lui era a letto, s’è voltato verso la compagna e ha subito capito: ‘Sono venuti a prendermi’”, racconta il quotidiano. Giorgio De Stefano è stato arrestato per associazione mafiosa ed estorsione e con lui sono finiti in manette il fratello Carmelo, alcuni esponenti della cosca Libri, e Antonino Randisi, suo braccio destro. L’imprenditore, che aveva un profilo super blindato sul social, è accusato dalla Dda di Reggio Calabria di essere a capo della cosca mafiosa con il fratello e di essere un vero punto di riferimento del clan in Lombardia.

Per la Dda di Reggio, Giorgino “curava gli interessi economico/imprenditoriali del sodalizio anche in Lombardia e all’estero – si legge ancora – provvedeva al mantenimento in carcere e al pagamento delle spese legali per gli associati detenuti; dava assistenza agli associati latitanti; faceva da mediatore per la risoluzione dei contrasti interni alla cosca; curava la riscossione dei proventi estorsivi ed assicurava protezione ai commercianti ed imprenditori contigui alla cosca o costretti al pagamento del ‘pizzo’; manteneva i rapporti con i rappresentanti delle altre cosche di ‘ndrangheta, con cui condivideva l’aggressione patrimoniale delle attività economiche presenti nel centro cittadino”.

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