Il primo politico a parlare di un’evenienza chimica riguardante gli attacchi terroristici è stato il premier Francese Valls che, senza usare mezzi termini, ha dichiarato pubblicamente che esiste il rischio di attacchi con questo tipo di armi. Un rischio molto concreto, oltretutto. L’America, insieme agli apparati di Bagdad, hanno scoperto un’intensa attività da parte dello Stato islamico, un grosso investimento sia economico che di uomini. E verrebbe anche da pensare che tutte le armi chimiche di Gheddafi sparite a febbraio in Libia, facciano parte della stessa vicenda. Ne parla il Corriere della Sera che spiega come siano stati reclutati esperti all’estero ed è stato ingaggiato un tecnico che ha lavorato con Saddam Hussein. Ovviamente non è così semplice trasformare sostanze tossiche in armi chimiche e ancora più difficile è trasportare l’eventuale arma in una città occidentale.
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Il saccheggio di molte caserme del regime siriano gli ha permesso di trovare qualche bomba dell’arsenale proibito. L’Isis ha già usato proiettili di mortaio con gas contro curdi, e l’Opac nel mese di novembre ha denuncia che l’Isis ha condotto attacchi con iprite in Siria ad agosto. Non solo. Nell’analisi di Olimpio, con l’iprite o altri veleni di cui sono in possesso le cellule che si sono infiltrate in Europa, basta anche solo un test per seminare il panico. Scrive: “I cittadini devono essere consapevoli dei rischi, la minaccia va svelata. Anche se credo che i corpi senza vita del Bataclan e quelli tra i tavolini dei ristoranti siano sufficienti a spiegarlo. Purtroppo non bisogna aggiungere altro”. Niente di certo naturalmente, “solo una possibilità” riferisce Valls, ma che deve essere valutata dai servizi e dall’esercito di ogni nazione che sta combattendo in prima linea contro il terrorismo.
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