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Quando l’amore per una figlia è più forte di ogni altra cosa: la difficile ma meravigliosa storia di Benedetta e Barbara. La ragazza ha bisogno di un fegato nuovo, non si trova un donatore, poi la proposta della mamma che spiazza tutti

  • Storie

 

Cosa farebbe una mamma per la sua piccola? Cosa farebbe una mamma se potesse dare un pezzo del suo corpo per far rivivere sua figlia? Cosa farebbe una mamma per non veder morire la carne della sua carne? Non c’è peggior pena per un genitore che seppellire suo figlio, si dice. E deve essere proprio così, nessun dolore può eguagliare la perdita di un ragazzo, magari molto giovane. Ma la storia di Benedetta (la mamma) e Barbara (la figlia) anche se con un prologo di certo non proprio semplice, è la perfetta incarnazione dello spirito di ogni genitore: dare un pezzo di vita per la vita. E’ rinata così, per due volte Barbara, grazie alla sua mamma che in un momento di difficoltà non ci ha pensato due volte a donare un pezzo del suo fegato alla figlia: “Glielo posso donare io?”. La spingono la forza dell’amore di una madre e una consapevolezza: “Senza Barbara — continua a ripetere — io non potrei vivere”. Quando dodici giorni fa Benedetta Visconti entra in sala operatoria non pensa ad altro: “Sembra che abbia aspettato tutta la vita questo momento”, dice Andrea De Gasperi, l’anestesista che l’accompagna. Lei conferma serena: “È come se l’intervento chirurgico dovesse farlo un’altra persona”. Eppure i rischi ci sono; e l’impatto psicologico non è da sottovalutare, tanto è vero che per arrivare fin qui ci vuole anche il via libera di un giudice. (Continua dopo la foto)


Sessant’anni, una tabaccheria di famiglia a Legnano, il 9 maggio Benedetta Visconti dona il 60% del suo fegato alla figlia Barbara, 37 anni. È il gesto di generosità estrema di una mamma per la figlia con una gravissima insufficienza epatica. Per il Niguarda, dove avviene l’intervento, è un traguardo importante: per la prima volta in Italia un ospedale raggiunge i cento trapianti di fegato da vivente, tra le operazioni più complesse che ci siano sia dal punto di vista tecnico sia per gli aspetti bioetici. Due équipe — da nove professionisti ciascuna — eseguono contemporaneamente gli interventi: il prelievo e il trapianto. Quattro ore di sala operatoria per mamma Benedetta, otto per Barbara, la figlia che fino all’ultimo non vuole un simile sacrificio della madre. (Continua dopo le foto)

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“Me l’ha tenuto nascosto fino alla fine: tutti gli esami per capire la compatibilità immunologica e morfologica li ha eseguiti di nascosto. Senza mai dirmi nulla — racconta —. L’ha voluto fare perché io ero in lista d’attesa per un trapianto da cadavere, ma mi sono aggravata a tal punto da rischiare la vita. Me l’ha ridata lei, per la seconda volta”. Sottolinea De Gasperi, a capo dell’Anestesia e della Rianimazione 2: “Abbiamo studiato la compatibilità, sotto tutti i punti di vista, sia genetico sia anatomico, ed abbiamo constato che poteva essere la soluzione ideale”. Adesso Barbara, nella stanza 43 del reparto ad alta intensità di cure, guarda al futuro: “Finalmente ho ritrovato la speranza”. Una storia d’amore e di solidarietà che ha raccontato magistralmente Simona Ravizza sul Corriere della Sera.

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