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“Come l’hanno trovata”. Giornalismo sotto choc, morta a soli 27 anni

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Restituito il corpo della giornalista ucraina Victoria Roshchyna

Un orrore senza volto e senza pace emerge dal tragico destino della giovane giornalista di 27 anni trovata morta mesi dopo essere stata arrestata mentre svolgeva il suo lavoro in Ucraina orientale. La reporter era scomparsa il 3 agosto 2023, durante un’inchiesta nelle aree occupate dalle truppe di Mosca. Oggi, le rivelazioni sul suo corpo restituito svelano una storia agghiacciante fatta di torture, violenze indicibili e un silenzio colpevole.

Secondo quanto riportato dal sito investigativo Forbidden Stories, le autorità hanno accertato che sul cadavere della giornalista erano presenti chiari segni di sevizie: abrasioni, emorragie interne, una costola rotta, lesioni al collo e tracce che fanno pensare a scosse elettriche. Ma il dettaglio più inquietante è la sparizione di alcuni organi: bulbi oculari, cervello e una parte della laringe. Un esperto forense, interpellato dagli inquirenti, ha affermato che questa mutilazione potrebbe essere il tentativo deliberato di nascondere le prove di uno strangolamento.

Restituito il corpo della giornalista ucraina Victoria Roshchyna


“Torturato e senza organi”. Restituito il corpo della giornalista ucraina Victoria Roshchyna

Victoria Roschchyna non era una reporter qualsiasi. Aveva ricevuto il Courage in Journalism Award nel 2022 e collaborava con Ukrainska Pravda, una delle principali testate del Paese. Nel luglio 2023, dopo essere stata arrestata e poi rilasciata dalle forze russe, aveva deciso di oltrepassare di nuovo le linee del fronte per raccontare l’Ucraina occupata dall’interno. Aveva lasciato il suo Paese attraversando Polonia, Lituania e Lettonia, riuscendo infine ad arrivare nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhia, dove aveva continuato a scrivere articoli fino al giorno del suo arresto definitivo.

Restituito il corpo della giornalista ucraina Victoria Roshchyna

Le indagini raccontano una detenzione lunga e brutale. La giornalista sarebbe stata trasferita in diversi centri russi, dove sarebbe stata sottoposta a continue torture. Nell’aprile del 2024, Mosca aveva confermato ufficialmente la sua prigionia, e a settembre si parlava di un possibile scambio con altri prigionieri ucraini. Ma l’operazione non si era mai concretizzata. Solo il 10 ottobre, il padre della giovane aveva ricevuto una comunicazione dalle autorità russe in cui veniva informato della sua morte.

La verità è emersa solo mesi dopo, il 25 febbraio 2025, quando durante uno scambio di corpi tra Russia e Ucraina, gli investigatori di Kiev avevano ricevuto un sacchetto igienico bianco contrassegnato con la sigla “NM SPAS 757”. Dietro l’apparente tecnicismo, si nascondeva un messaggio in codice: “Uomo senza nome, danni estesi alle arterie coronarie, [numero di corpo] 757”. Aprendolo, le autorità ucraine avevano scoperto che non conteneva un solo cadavere, ma due. Uno di questi era proprio quello della giornalista scomparsa mesi prima, smembrato e martoriato, come a voler cancellare la sua voce e la sua identità.

La morte di Victoria Roschchyna non è solo una tragedia personale, ma un durissimo colpo alla libertà di stampa e alla dignità umana. È il simbolo di una guerra in cui la verità viene punita, e chi cerca di raccontarla diventa un nemico da eliminare.


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