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Quelle opere dei dittatori che plagiavano le masse

Le immagini delle statue di Lenin abbattute dopo la caduta del Muro di Berlino, i rubinetti d’oro nei bagni del palazzo presidenziale di Saddam Hussein. Tutte immagini di un collegamento sempre forte tra il potere e lo sfarzo. Chi è in posti di comando ne approfitta, soprattutto quando si è al vertice di uno Stato autoritario. Tutti i libri di storia dell’arte parlano di una Bucarest pre Ceaucescu definita “la Parigi dell’Est” per i suoi gioielli architettonici. Fino a quando l’ex “padrone” della Romania comunista decise di lasciare un segno più “suo”, demolendo bellezze per edificare il Palazzo del popolo, nulla di più di un enorme casermone, imponente ma pacchiano. Ed è l’imponenza ad avere un senso di potere, ad avere un duplice effetto sui “dominati”. L’architettura dei tiranni è un modo per ostentare il potere, la possibilità di creare, anche in grandi dimensioni, oltre la stessa funzione. Ma è altresì una via per “ipnotizzare” la massa, farla sentire impotente ma protetta. Un lavoro completo è quello curato da Gian Piero Piretto (Memorie di pietra. I monumenti delle dittature, editore Cortina Raffaello, pp. 300, euro 25). I contributi qui raccolti affrontano il problema della monumentalità totalitaria e delle sue svariate applicazioni in regimi diversi: nazismo, socialismo (sovietico, jugoslavo, cecoslovacco, cubano, tedesco orientale), fascismo, fino ai momenti più rappresentativi della nostra contemporaneità. Letture, indagini, interpretazioni, illustrate da immagini stupefacenti, che coinvolgono architettura, antropologia, cultura visuale, società.


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