L’ultimo racconto della realtà dei giovani e giovanissimi, che aiutano la criminalità organizzata da Napoli al Venezuela, da Jihad a Scampia. Il festival Caffeina apre la sua edizione 2017 con un lungo monologo a Piazza San Lorenzo tenuto da Roberto Saviano sul suo ultimo romanzo “La Paranza dei bambini”. Il suo interesse per i giovani lo ha sempre mostrato trasmettendo la sua passione per la letteratura e il cinema nelle scuole e nelle università, fino a partecipare a programmi televisivi come “Amici”, ricevendo apprezzamenti e critiche, come sempre. Stavolta Saviano torna a parlare della criminalità, narrando le storie dei giovani e giovanissimi che per fare soldi facili e vivere l’ebbrezza del pericolo di morte collaborano con i gruppi camorristici e vivono vite brevi, lasciando figli orfani e giovanissime mogli sole. Le parole di Roberto scorrono appassionate, arrabbiate e a tratti stanche, quasi come le canzoni rap che il giornalista condivide con il pubblico, che narrano la criminalità napoletana sventolando bandiere dell’ISIS, perché Napoli, il traffico di cocaina venezuelana e le strategie jihadiste sono collegate. Infatti una delle canzoni si intitola proprio Venezuela. Ho incontrato Roberto Saviano poco prima dell’inizio del suo monologo e, forse per la prima volta nella mia carriera da giornalista, si è quasi trattata di un’intervista doppia. Ho avuto modo di porgli solamente due domande, lui ne ha fatte altrettante a me. Come nella Paranza, ho visto luce nei suoi occhi e interesse a scoprire e trasmettere a una vita giovane. Le domande sono due, ma le risposte aprono molte altre frontiere da indagare. (Continua a leggere dopo la foto)
Quanto “La paranza dei bambini” è differente e quanto è simile a “Gomorra”? Quanta realtà e quanta narrazione sono entrate stavolta nella tua penna? “La differenza profonda è nel metodo. Il metodo di Gomorra è quello della non-fiction, cioè la possibilità di raccontare storie reali con nomi e cognomi, prove, dentro un metodo narrativo in cui l’oggetto è cronaca e poi c’è l’analisi. Paranza è ispirato a fatti reali, la scrittura è narrativa, non c’è l’analisi, c’è la fabula, la narrazione, il metodo di approccio è quindi completamente diverso. Non sono nomi e cognomi, sono nomi costruiti con la fantasia, ma forse tutto può essere riassunto con ciò che ho scritto nella prima pagina in basso a sinistra di Paranza, sai dove ci sono quella specie di avvisi che fanno gli scrittori ‘nomi e persone sono casuali…’, io invece ho scritto una frase ispirandomi a quello che è un mio maestro, che ho avuto la possibilità di frequentare molto, Franco Rosi, autore di ‘Il mare sulla città’, Salvatore Giuliano, ‘Il caso Mattei’. Rosi ha raccontato il mondo sempre con questa premessa: ‘Personaggi e storie sono di fantasia, vera è la realtà che li ha prodotti’. Usa questa espressione che è meravigliosa, come dire, non credere che quello che stai vedendo, semplicemente perché il nome del sindaco di Napoli sia di fantasia, sia falso, tutta quella realtà che vedi, che ha prodotto questa nostra fantasia è vera. Ecco io sono ancora oltre, perché ‘La paranza dei bambini’ sono tutti episodi e vicende realmente accadute che ho trasformato. È tutta una questione di metodo, in Gomorra di portarti le prove, in Paranza solo di raccontarlo”. (Continua a leggere dopo le foto)
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Perché Roberto Saviano ha deciso di narrare la malavita minorile? In che grandezza la collaborazione dei giovani e dei giovanissimi aiuta la Camorra? “Sai oggi è tutto in mano ai minori, non soltanto la Camorra, anche la criminalità sudamericana, ma anche jihad. Minori o giovanissimi, per intenderci uno spettro che va dai 10 ai 24 anni. Perché questo? Perché si è disposti a morire. Oggi la differenza la fai se decidi di volere quello che vuoi e quindi muori o guardare solo da lontano quello che vuoi e quindi vivi. I miei paranzini, a cui mi sono drammaticamente affezionato, sono ragazzini che muoiono e sanno di morire giovanissimi, però sanno, in una frase che può sintetizzare tutto: ‘A 90 anni muori centenario, a 20 anni leggendario’. Usano sempre questa espressione. E non esistono soldi difficili, esistono solo soldi facili. Perché i soldi difficili non li vedrai mai, i soldi con l’impegno. Secondo il loro punto di vista fare i soldi facili è l’unico modo per fare soldi. E il loro punto di vista mi interessa molto perché è quello di moltissimi altri. Sai questo è un vecchio trucco da scrittore, io ti racconto la storia di un killer e tu mentre leggi dici ‘cazzo, questa è la mia storia’. Io ti sto raccontando una storia di paranzini criminali, ma mentre tu stai leggendo pensi “ma così, in fondo, sto ragionando anche io, ragiona così il mio tempo, sono costretto anche io a vivere in queste condizioni”. (Continua a leggere dopo la foto)
Quindi è indirizzato ai giovani? “Sì, il mio obiettivo era farlo leggere anche ai coetanei dei paranzini che sono protagonisti del libro”.
Intervista e testo di Claudia Paccosi. Foto di Daniele Veglianti.
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