Il petrolio è tornato a fare paura. I prezzi, che dopo alcuni anni di stabilità intorno a valori contenuti, sembrano tornare a salire velocemente e, con il dollaro sempre più forte, il rischio che ci siano ricadute sulla crescita economica è alto. Non vale infatti in assoluto, il binomio più è alto il prezzo dell’oro nero e più le società di settore guadagnano. Anche qui esiste una sorta di equilibrio. Questo fenomeno è terreno fertile per la speculazione, che potrebbe avere un ruolo centrale nel provocare un balzo irrazionale delle quotazioni. Infatti, nonostante il prezzo oscilli ancora intorno agli 80$, la crescita del numero di titoli sui media che profetizzano il raggiungimento della soglia dei 100$ entro pochi mesi è un indizio chiaro che una nuova bolla speculativa potrebbe essere in formazione. L’avvicinarsi delle sanzioni Usa contro l’Iran, la scarsa fiducia nelle capacità dell’Opec e della Russia di colmare ogni carenza di offerta e una speculazione sempre più aggressiva nel puntare su ulteriori rialzi, hanno accelerato il rally del petrolio negli ultimi mesi. (Continua a leggere dopo la foto)



Non ci sono abbastanza oleodotti per convogliare tutta la produzione sui mercati e questo bloccherà la crescita dell’offerta nei prossimi mesi. Il problema potrebbe essere risolto in un paio di anni, ma l’industria Usa sembra riluttante ad effettuare i necessari investimenti. Secondo il geofisico di fama mondiale Jean Laherrère, la produzione dello shale oil raggiungerà il suo picco entro il 2020 a 5 milioni bb/gg, per poi declinare velocemente perdendo l’80% nei 5 anni successivi. La domanda resta forte, soprattutto da parte delle economie emergenti. Anche in Italia, le importazioni di petrolio sono tornate a crescere con decisione nel 2017 fino a 1,373 milioni di bb/gg dopo il minimo di 1,17 raggiunto nel 2015.
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