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Arriva una tassa su Coca Cola e altre bevande: in che consiste

  • Economia

Per il governo italiano è il momento della copertura finanziaria. Nessuno, dal più piccolo imprenditore, al governo, passando per gli enti pubblici, può permettersi di fare promesse se non garantisce una copertura economica per le proprie manovre/investimenti. E c’è da dirlo, l’amministrazione giallo-verde, di promesse, ne ha fatte un bel po’. Proprio in questi, in commissione finanze, si discute proprio sulle tasse (vecchie e nuove) che il governo dovrà affrontare. Tra le tante una ha destato particolare interesse: è stato infatti approvato un emendamento che prevede di tassare le bevande zuccherate (come la Coca-Cola) per coprire l’esclusione del regime Irap per le partite Iva fino a 100mila euro.

Ora la proposta essere esaminata dalla commissione Bilancio. L’emendamento, a prima firma dell’esponente 5S Carla Ruocco e sottoscritto da alcuni deputati leghisti, prevede come copertura principale la revisione delle spese fiscali. Ma non è certo la prima volta che questa tassa viene ipotizzata: si ragiona su di essa, a memoria, sin dal governo Gentiloni. Gli ex colleghi della Ruocco avevano infatti ipotizzato un ricavo di circa 200mln di euro. (Continua dopo la foto)



La tassa, per onor di cronaca, esiste già in altri Paesi, ed è passata sempre come norma per combattere l’obesità. Tuttavia, almeno per il governo Gentiloni, le lobby delle multinazionali fecero muro e a quanto pare l’ex viceministro dell’Economia, Luigi Casero, pose il suo veto, bloccando l’idea del governo. All’epoca arrivarono aspre critiche dalle associazioni di categoria: Aurelio Ceresoli, presidente di Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta le bevande analcoliche, evidenziò che “Il Paese ha bisogno di crescita ed occupazione e una misura come questa produce effetti opposti. (Continua dopo la foto)

Le ripercussioni negative sulla produzione e sull’occupazione, anche dell’indotto, comportano una diminuzione delle entrate da imposte dirette con conseguente riduzione di PIL e questo abitualmente viene poco considerato. Così come gli effetti a livello locale e sociale di misure di questo tipo, parliamo di migliaia di posti di lavoro. Non si comprende il motivo di una focalizzazione sulle bevande analcoliche già penalizzate da un’aliquota IVA del 22% (tra le più elevate della UE, dove la media è del 16.5%, in Francia ad esempio del 5.5) anche rispetto alla maggior parte degli alimenti che soggiacciono ad aliquote IVA ridotte (4 e 12%)”. (Continua dopo la foto)

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Il 6 aprile 2018, in Gran Breagna, è entrata in vigore la Soft drinks industry levy (Sdil), la tassa “British” sulle bevande analcoliche o poco alcoliche, pronte da bere o solubili che superano una certa soglia di zuccheri aggiunti. I succhi di frutta naturali e le bevande a base di latte sono esenti. Il provvedimento ha coinvolto 326 produttori. La tassa è di 18 pence/litro (0,20 €) per bibite con un contenuto variabile da 5 a 8 grammi di zuccheri per 100 ml, mentre se il contenuto supera gli 8 grammi per 100 ml l’importo sale a 24 pence/l (0,27 €). La tassa britannica è differente rispetto a quelle applicate finora nel resto del mondo, poiché non si pone l’obiettivo di diminuire solo il consumo, ma cerca di spingere i produttori a ridurre il contenuto di zucchero. Nel nostro caso, quello italiano si intende, soprattutto per far cassa.

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