Il Papa dichiara guerra all’Isis. Una delle novità nella politica estera del Vaticano è la scelta di combattere il califfato islamico. Si tratta di una strategia epocale e con alleati insospettabili: la Russia e l’Iran. Come riferisce Limes ”C’è un “califfato mondiale a pezzi”, parafrasando un’espressione del papa, che emerge dal cratere del 2015 e si sparge per la pelle del pianeta, come le pustole di un’infezione, lungo la fascia d’incontinenza che va dai monti dell’Atlante alle cime afghane, dove i confini non tengono più”. Bergoglio sa bene che si tratta di porzioni di territorio che ambiscono a diventare Stato, distinte geograficamente, ma unite ideologicamente, dalle sabbie del Mali alle savane della Nigeria, dalle rive del Tigri – Eufrate alle spiagge del Corno d’Africa. Scrive Limes: ”Nel Risiko del Grande Medio Oriente, Francesco è stato il primo a rimettere in gioco Mosca e Teheran, modificando gli equilibri dell’area e mobilitando le due potenze, ortodossa e sciita, che oggi con il loro ritorno in forze, assai più di Parigi e Washington, stringono in una morsa lo Stato Islamico. Se i fatti di Francia non avessero indotto il presidente iraniano Hassan Rohani a fermare last minute l’aereo in pista e annullare il suo tour nelle capitali europee, l’incontro con il Papa, in programma il 14 novembre, era destinato a concludere in modo spettacolare l’iter della parabola inaugurata due anni fa: visualizzando e solennizzando agli occhi del mondo il sorprendente riposizionamento della Santa Sede nello scacchiere del Vicino Oriente, sua “zona di influenza” per diritto di nascita”.
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Già nel 2013 Bergoglio aveva sancito una sorta di ”santa alleanza” con la Russia: ”Il ”colpo di fulmine” tra il papa e Putin, in omaggio al genius loci, era scoccato sulla via di Damasco – prosegue Limes – quando Bergoglio sbarrò la strada ai missili americani, puntati su Bashar Assad, e sbalzò di sella Barack Obama, novello Saulo, impedendogli di bissare gli errori di Bush e consegnare la Siria in dono allo Stato Islamico. Uno – due: all’abbraccio asimmetrico dei russi ha fatto seguito quello ancora più audace con gli ayatollah, in una singolare applicazione alla diplomazia delle regole del tango, che impongono l’avanzata negli spazi stretti e non permettono il dietrofront dei ripensamenti. Nello scanner vaticano in definitiva i due islamismi militanti, degli ayatollah e dei califfi, evidenziano tratti assai diversi. Anzi divaricati: da una parte la volontà di riacquistare un primato locale. Dall’altra una velleità di conquistare il mercato mondiale. Secondo la “dottrina Parolin”, come scrivemmo a caldo, la minaccia esistenziale non proviene quindi dall’Iran, erede di una tradizione statuale plurimillenaria, sebbene ambigua e dispotica, bensì dall’Is, che dello stato, a dispetto del nome, rappresenta il terminator e la negazione, trasponendo su basi religiose, in via strumentale, il dispositivo dei totalitarismi del Novecento e conservandone l’impulso nichilista”.