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“Uscite dalla mia mente”. E invece no… Vi siete mai chiesti come riaffiorano i ricordi? Ecco svelato tutto dalla scienza. E la scoperta porta alla luce nuove ipotesi sul Morbo di Alzheimer

 

Molti già sanno che secondo le neuroscienze moderne l’ippocampo svolge un ruolo fondamentale per la formazione dei ricordi di eventi e luoghi; il suo danneggiamento, ad esempio negli individui affetti da Alzheimer, sarebbe associato a perdita di memoria e disorientamento. Ma in tanti si chiedono ancora: come funziona esattamente il ricordo? Un gruppo di neuroscienziati texani ha identificato, nell’ippocampo di alcuni ratti, i segnali elettrici specifici associati al ricordo di un evento sgradevole, un piccolo shock ricevuto nel corso dell’esperimento. Lo studio è stato pubblicato su Nature Neuroscience. È grazie ai neuroni della regione CA1 dell’ippocampo detti cellule di posizione che un evento viene memorizzato e associato al luogo specifico in cui è avvenuto. Durante uno spostamento in una certa area gruppi diversi di queste cellule si attivano, generando segnali elettrici dalle forme caratteristiche e riconducibili a posizioni precise. “Possiamo predire in quale punto il ratto si trovi osservando i pattern della sua attività cerebrale” dice il leader della ricerca, il dottor Daoyun Ji. Il team texano ha ipotizzato che lo stesso gruppo neuroni che ha formato il ricordo si riattivi allo stesso modo quando l’evento viene riportato alla memoria. Seguendo questa idea, ha realizzato un esperimento sui ratti, durante il quale la loro attività cerebrale è stata registrata per conoscere cosa accade nel loro cervello subito prima che il ricordo di un evento si formi e quando esso è riportato alla memoria. (Continua a leggere dopo la foto) 


Il primo giorno di test, 4 ratti sono stati lasciati liberi di esplorare un percorso lineare, lungo 225cm, per metà illuminato e per metà scuro, in due sessioni da 15 minuti intervallate da un periodo di riposo. Il secondo giorno il test è stato ripetuto ma due leggeri shock sono stati applicati nella prima sessione esplorativa, quando i ratti erano in un certo punto della zona scura, detto zona di shock. Durante la seconda esplorazione, iniziata nella regione illuminata, i topi si sono mostrati restii a passare nella regione scura: avvicinandosi alla zona di shock, i topi generalmente si fermavano e poi tornavano indietro. L’esitazione è stata interpretata come l’istante del ricordo e in effetti è risultata coincidente alla riattivazione dei gruppi di neuroni relativi alla zona di shock, anche se i ratti si trovavano altrove.

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Si può quindi ipotizzare che il timore di subire un nuovo shock sia la causa dell’esitazione dei topi e della scelta di cambiare direzione. Quanto è determinante il riaffiorare del ricordo in questa decisione? Se le cellule dell’ippocampo associate alla zona di shock non fossero in grado di riattivarsi, i ratti la eviterebbero allo stesso modo? Attraverso esperimenti futuri Ji e colleghi cercheranno di rispondere a queste domande: “Vogliamo scoprire se questo tipo di meccanismo è alterato in animali modello per il morbo di Alzheimer. Alcuni studi mostrano che tali animali possiedono ricordi, ma non sono in grado di rievocarli” aggiunge il dottor Ji. Inoltre, i neuroscienziati cercheranno di determinare in che modo i segnali specifici delle cellule di posizione siano utilizzati in altre aree del cervello, come quelle coinvolte nei processi decisionali.

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