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Mattarella ricorda il bimbo morto nell’attentato alla sinagoga di Roma. Cosa successe quel giorno

  • Storie

In molti si sono interrogati, cercando di scavare nella memoria personale e del paese, quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato, durante il suo discorso al parlamento, la morte di Stefano Gaj Tachè, il bambino di due anni ucciso nell’attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982 da un commando palestinese. L’intera aula ha tributato al ricordo del bambino “vittima del terrorismo” un lungo applauso. Cosa accadde quel giorno? Un commando palestinese si scagliò contro la Sinagoga Maggiore di Roma. L’attacco, avvenuto durante una celebrazione religiosa, uccise Stefano Tachè e ferì quaranta persone. La vita della comunità ebraica romana, e italiana, ne rimase indelebilmente segnata. Tra i fedeli che, oggi come allora, escono dal tempio, qualcuno ancora non riesce a parlare di quella terribile mattinata. Le ferite del corpo si sono rimarginate, quelle dello spirito no. Tutti, comunque, ricordano come se fosse ieri.

(continua dopo le foto)


Trent’anni dopo Marco Di Porto, membro del coro ebraico dal 1948, ricordava così quella terribile giornata: ”Sono arrivato in sinagoga un po’ più tardi del solito. L’attacco era appena avvenuto, c’erano feriti da raccogliere e trasportare di corsa all’ospedale. Insieme ad altri, ho prestato i primi soccorsi; poi, su richiesta del presidente della comunità, ho iniziato a fare il giro degli ospedali per verificare quanti fossero stati colpiti. In un ospedale ho trovato uno dei nostri bambini: aveva il volto tutto butterato da schegge di bomba. Nell’anticamera della sala operatoria del Fatebenefratelli, invece, c’era il padre di Stefano Tachè, Yossi”. Tutta la sua famiglia era stata colpita. Il più grave era il figlio minore, preso alla fronte da un colpo di mitraglietta. “Mentre ero lì – aggiungeva Di Porto – un’infermiera uscì dalla sala operatoria scuotendo la testa: il piccolo Stefano non ce l’aveva fatta. Yossi diede un pugno fortissimo a una vetrata, mandandola in frantumi”.

Ritornando con la mente a quella mattinata, molti si dissero e si dicono ancora”miracolati”. Qualcuno racconta di un amico che si è salvato grazie a un libro di preghiere tenuto in mano all’altezza del petto: la copertina di quel volume provvidenziale conserva ancora ”incastonato” un frammento di bomba. In tanti, invece, sottolineavano con amarezza: ”Quel giorno non c’era nemmeno un poliziotto nei pressi della sinagoga”. Pochi giorni prima dell’attentato, le autorità avevano infatti tolto il presidio della polizia che, invece, anche guardando ai rischi del nuovo odio antiebraico, oggi c’è.

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