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Coronavirus, ecco quando è iniziata davvero la diffusione in Italia

Il nuovo coronavirus circolava in Italia, ma anche in altri Paesi diversi dalla Cina, “diverse settimane prima” che venisse identificato il cosiddetto ‘paziente 1’ dell’ospedale di Codogno (Lodi). E’ quanto emerge da uno studio condotto dal gruppo dell’università Statale di Milano e dell’ospedale Sacco, coordinato da Gianguglielmo Zehender, Claudia Balotta e Massimo Galli, che ha portato a termine “l’isolamento di 3 ceppi di coronavirus” responsabile di Covid-19, fra quelli “attualmente circolanti nell’area di Codogno”.

“L’analisi filogenetica dei primi 3 genomi completi” dell’agente patogeno, “ottenuti dagli isolati italiani di Sars-CoV-2 sequenziati al Sacco il 27 febbraio e circolanti in Lombardia – spiegano gli autori – ha dimostrato che risultano essere inclusi in un unico cluster di genomi isolati in altri Paesi europei (in particolare in Germania e Finlandia) e in Paesi dell’America centrale e meridionale, oltre che all’isolato italiano recentemente pubblicato dall’Istituto superiore di sanità e ottenuto nell’area del Lodigiano”. Per gli esperti, “la stima preliminare del tempo di origine di questo cluster corrisponde a un periodo che precede di diverse settimane il primo caso evidenziato in Italia il 21 febbraio. L’analisi in corso di ulteriori genomi – commentano – ci consentirà di ottenere stime più precise sull’ingresso del virus nel nostro Paese e sulle possibili vie di diffusione”. (Continua a leggere dopo la foto)


Ben prima che l’arrivo del nuovo coronavirus in Italia si manifestasse con la scoperta del ‘paziente 1’ di Codogno nel Lodigiano, dunque, il germe della Covid-19 stava già circolando nel nostro Paese (e non solo) secondo quando stimano i ricercatori “in via preliminare”. E’ quindi possibile che in molti abbiano contratto e superato l’infezione senza accorgersene? “Mi attengo ai dati assolutamente ufficiali – dichiara Zehender all’AdnKronos Salute – che ci dicono che, dei tamponi fatti finora, circa il 50% dei positivi sono persone che non mostrano sintomi”. Pertanto, se venisse confermata una circolazione del coronavirus anticipata di “diverse settimane” rispetto all’emergere del ‘caso 1’, la risposta alla domanda potrebbe essere sì. Il nuovo studio, spiega lo scienziato, professore di Igiene generale applicata di UniMi, “è un prosieguo delle ricerche iniziate con l’isolamento del ‘ceppo italiano’ di nuovo coronavirus”. (Continua a leggere dopo la foto)

L’ulteriore tassello arriva ora con la mappa genetica completa dei “primi 3 ceppi di virus isolati dai primi pazienti della Bassa Lodigiana” ricoverati al Sacco. “Li abbiamo caratterizzati e li stiamo analizzando. I risultati sono assolutamente preliminari – tiene a precisare Zehender – Dovremo caratterizzarne altri”. Quanti e in quanto tempo “dipende da tanti fattori – evidenzia – non ultimo dal fatto che siamo pochi e oberati di lavoro”. I primi dati indicano tuttavia che “questo è un ceppo presente non solo in Italia, ma anche in alcuni Paesi d’Europa e dell’America centrale e meridionale”. Il cluster è lo stesso e “dal punto di vista epidemiologico – chiarisce il ricercatore – suggerisce che di casi di Sars-CoV-2 fuori dalla Cina ce ne sono stati diversi”, anche prima che venissero segnalati. Zehender ritiene impossibile fare previsioni sul futuro dell’epidemia in corso, ma condivide l’utilità di misure restrittive: “Credo diano la cosa più importante – commenta – L’esperienza della Cina insegna che, se si è molto seri e determinati, questo è un problema che si può affrontare, frenare e anche risolvere”. (Continua a leggere dopo la foto)

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L’andamento dei contagi nei prossimi giorni “dipenderà da quanto queste misure saranno applicate e funzioneranno”. Certo è, puntualizza lo scienziato di UniMi, che “questa infezione non è esattamente un’influenza”, specie per le cure intensive richieste. “La lezione che si può trarre da quanto stiamo vivendo è che i virus non hanno confini”, ammonisce il docente. “Le infezioni emergenti sono una caratteristica del nostro tempo – riflette – Non solo del nostro, ma del nostro in particolare”. Globalizzato e senza barriere, con buona pace di chi vuole alzare muri. Ma Covid-19 è o non è pandemia? “Mi atterrei alle dichiarazioni ufficiali – chiosa Zehender – Le pandemie non si misurano a livello nazionale, ma a livello globale”.

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