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Beatles, 50 anni fa ‘Revolver’ e fu rivoluzione. Ecco la storia di quello straordinario album che cambiò la musica. Riascolta alcune delle canzoni più belle…

  • Musica

 

Cinquanta anni di Eleanor Rigby, mezzo secolo dunque del formidabile album ‘Revolver’ che la conteneva. Era il 5 agosto 1966. Leonard Bernstein salutò subito i Beatles, e li illustrò (con Dylan, gli Stones e molti altri) al mondo via tv con le sue leggendarie trasmissioni, come i geni che erano. Londra, 24 febbraio 1966. I Beatles sono già i Beatles da un bel po’ e stanno per ribadirlo con Revolver. Berio è già molto affermato, anche come indagatore di nuovi orizzonti elettronici, ma ancora non è il Maestro e seguito come una star, accadrà di lì a poco, in ogni sala da concerto del mondo. Da docente alla prestigiosa Juilliard School of Music di New York, il compositore è a Londra per una lezione.

All’epoca i Beatles già smanettano senza tregua con nastri magnetici, loop, velocità di registrazione e ogni altro mezzo che gli paresse interessante, inventandoli quando non c’erano.

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I suoni esistenti non gli bastavano più. Come a Berio. Nella cui platea, guarda caso, c’è anche Paul McCartney, peraltro già folgorato da Stockhausen, che trasecola d’ammirazione all’ascolto Laborintus II, opera dell’anno prima musicata dal compositore ligure, “per voci, strumenti e nastro magnetico”, su testi estrapolati e montati dall’amico di una vita Edoardo Sanguineti fra versi di Dante, Pound, Eliot, dalla Bibbia e suoi. A fine conferenza, un Paul entusiasta perfora la sicurezza chissà perché voluta dall’ambasciata italiana, strappando al maestro un breve contatto. Che malgrado i racconti verbali di Berio resta ignoto nei contenuti, ma pare suggellare le futuribili suggestioni di McCartney e soci. Revolver, 1966, si diceva. Mezzo secolo fa in questi mesi i quattro già baronetti avevano già sguainato in Rubber Soul la propria insaziabile curiosità. Avventurandosi fra cultura e note d’Oriente (col sitar, pare nelle mani di George, che debutta in Norvegian Wood e che su Revolver tornerà, insieme alle tabla di Anil Bhagwat, in Love You To, così come in Sgt. Pepper’s), marijuana e LSD (ma il secondo senza Paul, che non ne vorrà mai sapere), il Timothy Leary pensiero che aprì cuori e menti ai vagiti psichedelici della nascente West Coast.

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E che, nella versione beatlesiana, brillano ammiccanti, sfarzosi e profetici in Tomorrow Never Knows che chiude Revolver. Senza scordare la “breaking news” del folk rock stile Byrds, venerati dai Fab Four tanto quanto Dylan – John e George lo difenderanno con vigore dalla rabbia dei fan delusi per la svolta elettrica – né l’amor fou per il soul rampante di Otis Redding e James Brown.

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Lo testimonia ampiamente il Motown Sound dai robusti ottoni che Revolver porterà in dono nel soul travolgente di Got to Get You Into My Life, futuro Grammy nella versione Earth, Wind & Fire. Mentre a Revolver, solo nominato come miglior disco, toccò invece quello per la copertina, straordinario e adeguatamente innovativo artwork mixed media di Klaus Voorman, vecchio amico dei Fab nei primi eroici tempi di Amburgo, buon artista e musico di lungo corso.

 

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