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Roberto Benigni: “La Costituzione è nata come una promessa alle generazioni future, ma…”. L’attore toscano cantore dell’Italia dice la sua, e ha stupito proprio tutti

  • Italia

 

Roberto Benigni mattatore indiscusso e portavoce della cultura italiana nel mondo è anche “cantore” della Costituzione italiana, che più volte nei suoi spettacoli – andati in onda sulla Rai nel 2012 e nel 2013 – ha definito “La più bella del mondo”. L’attore ha dichiarato di votare sì al referendum costituzionale (mentre il 3 maggio aveva detto che avrebbe dato un bel no), sostenendo che è la costituzione più bella del mondo ma si può anche cambiare. In una lunga intervista al quotidiano “La Repubblica” ha spiegato il perché di questa sua decisione.
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Nell’intervista Roberto benigni spiega le sue origini che sono alla base della sue scelte, anche politiche:

Roberto Benigni, lei sa cosa avevano votato suo padre e sua madre al referendum che chiedeva ai cittadini di scegliere tra repubblica e monarchia, il 2 giugno di settant’anni fa?
“Due contadini socialisti come loro cosa potevano votare? Repubblica, naturalmente. Ne abbiamo parlato molte volte, in casa. La sera prima, mio padre disse a mia madre: ma tu, vuoi votare per il re, che sarà uno e uno solo, o per la Repubblica che ci farà diventare tutti re? Non ebbero dubbi, e non si sono mai pentiti”.

Poi ha spiegato quali sono, secondo lui i pilastri della storia del nostro Paese:

Repubblica, Resistenza, Costituzione, Democrazia: sono questi i quattro elementi della nuova storia?
“Legati insieme. La Resistenza ha consentito di poter scrivere una Costituzione. E la Costituzione, all’articolo 1, sancisce in forma solenne che l’Italia è una Repubblica. E aggiunge quell’aggettivo: democratica. E quella formula fantastica, di cui oggi nella crisi comprendiamo tutto il significato: “fondata sul lavoro”. Poi nella Carta c’è come una sceneggiatura, un racconto che corre articolo per articolo fino all’ultimo, il 139, dove torna la Repubblica, per stabilire che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione. Sembra quasi che i Padri costituenti se lo fossero dimenticati, quell’articolo, in realtà la Costituzione a ragion veduta si apre e si chiude parlando di Repubblica. Quell’articolo finale mi è sempre sembrato una specie di avvertimento per i posteri: oh, non vorrete mica scherzare… In ogni caso, guardate, noi mettiamo la Repubblica al riparo per il futuro, fidarsi è bene, ma non si sa mai”.

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Ed entrando nel particolare della Carta Costituzionale Benigni ha voluto spiegare cosa rappresenta anche in relazione allo spettacolo che sta per portare in scena:

Lei questa sera porterà in replica “La più bella del mondo” al grande pubblico di Rai 1, dopo che nel 2012 la buona vecchia Costituzione fece 13 milioni di ascolti, contro gli 11 milioni dei “Dieci Comandamenti” due anni dopo. Dunque Calamandrei batte Mosè?
“Calamandrei, i suoi colleghi e i suoi avversari. Perché dietro la Carta, se si tende l’orecchio, si sente il frastuono della democrazia, che è lotta e scontro di interessi legittimi, di valori e soprattutto di idee. Però sa cosa c’era allora, e si capisce benissimo oggi leggendo quegli articoli? Un orizzonte comune, un impegno comune per il bene comune. E infatti quegli uomini e quelle donne sono riusciti a creare lo Stato repubblicano, la sua Costituzione e la democrazia senza violenza. Un momento di grazia”.

Che la politica non sa più ricreare?
“Ma guardi che la grazia va al di là della politica. Fu una rivoluzione di costume, culturale. Venivamo da vent’anni di fascismo, dalla guerra, con lo straniero in casa, il disprezzo della legge, un massacro morale, l’idea di Stato confiscata dalla dittatura. Ed è venuta fuori una costituzione solidale, altruista, con un forte senso di moralità civile. Sa come diceva Peguy, la rivoluzione o sarà morale o non sarà. Ecco, la ribellione al fascismo ha toccato solo una parte del Paese, ma ha innescato una rivoluzione morale, nel senso civico e repubblicano. È il caso anche per noi, pensando ai costituenti, di usare la formula di Churchill: mai tanti dovettero così tanto a così pochi”.

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E allora che bisogno c’è oggi di cambiarla, questa Costituzione?
“Infatti farebbero bene ad attuarla, prima di pensare a cambiarla. La Carta è nata come una promessa alle generazioni future. Noi siamo qui riuniti – disse Calamandrei in quei giorni – per debellare il dolore e per ridurre la maggior quantità possibile di infelicità. Ci rendiamo conto? In questo senso la Costituzione, come la democrazia, è un paradosso, perché chiede a tutti le virtù di pochi”.

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E infine, ha detto le motivazioni che lo hanno spinto a considerare la Costituzione un documento che sì, può anche essere aggiornato:

Ma lei cosa voterà al referendum? Mi è sembrato indeciso, prima ha detto sì, poi no. Dunque?
“Ho dato una risposta frettolosa, dicendo che se c’è da difendere la Costituzione, col cuore mi viene da scegliere il “no”. Ma con la mente scelgo il “sì”. E anche se capisco profondamente e rispetto le ragioni di coloro che scelgono il “no”, voterò “sì”. Sono trent’anni che sento parlare della necessità di superare il bicameralismo perfetto: niente. Di creare un Senato delle Regioni: niente. Di avere un solo voto di fiducia al governo: niente. Pasticciata? Vero. Scritta male rispetto alla lingua meravigliosa della Costituzione? Sottoscrivo. Ma questa riforma ottiene gli obiettivi di cui parliamo da decenni. Sono meglio del nulla. E io tra i due scenari del giorno dopo, preferisco quello in cui ha vinto il “sì”, con l’altro scenario si avrebbe la prova definitiva che il Paese non è riformabile”.

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