Un pomeriggio di maggio drammatico. È accaduto lo scorso sabato, mentre l’estate era intenta ad intrufolarsi definitivamente nella routine, a colpi di sole spaccapietre. Un sabato come tanti altri, se non per il fatto che si è portato via la giovane vita della 32enne Martina Di Tommaso, regista. A quanto pare le notizie orribili sembrano rincorrersi e il genere documentario, in Italia, perde un’altra stella, la terza.
Iniziando il tragico conteggio dal mese di novembre 2020, con Valentina Pedicini, seguita poi da Cecilia Mangini, venuta a mancare in gennaio, e adesso Martina Di Tommaso. Ad andarsene sono tre voci che portano le bandiere di tre diverse generazioni, con differenti promesse, e caratteristici toni di narrazione.


Martina racchiudeva in se moltissimo talento, possedeva tutto ciò di cui necessita una narratrice dal vero: la determinazione. Proveniva da un quartiere difficile di Bari, San Pio, e aveva scelto il cinema come compagno di vita, iscrivendosi all’Accademia di Enziteto. Quando Martina si iscrisse e cominciò a frequentarla era effettivamente l’anno della sua fondazione, il 2005. Lì storie non ne mancavano, le aveva carezzate e tenute per quando sarebbe stato il momento, dopo il diploma al Centro Sperimentale di Roma che pure ne aveva glorificato il talento.


Ed era tornata proprio a Enziteto a insegnare, ma anche a trovare la sua storia. “Volevo scaturisse da questo quartiere, che avesse una sfaccettatura al femminile – raccontò a bari.repubblica.it -. Io e Elisa Amoruso ci siamo riconosciute subito. Quando mi ha detto che stava per partire ho capito di aver trovato il mio film. Lo faceva per la sopravvivenza, e per tirare fuori i suoi figli da Enziteto. Avevo davanti una donna coraggiosa, che emigrava da sola, e per le donne è cosa rara”.