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Morto Gabriele Galloni: il giovane artista aveva soltanto 25 anni. “Uno dei migliori degli ultimi tempi”

  • Italia

È morto il giovane poeta Gabriele Galloni. Aveva 25 anni. Solo due giorni fa aveva postato dei versi sulla sua pagina Facebook. Autore di diverse raccolte (“In che luce cadranno” -Rplibri, 2018, “L’estate del mondo” – Saya Editore, 2019 e “Sonno giapponese”), Galloni collaborava con la rivista Pangea. “Oggi piango uno dei migliori poeti della nuova generazione, Gabriele Galloni. A soli 25 anni i suoi demoni lo hanno soffocato per sempre. Avevo grande stima della sua poesia e lui mi cercava e leggeva continuamente con un rispetto che raramente ho trovato negli scrittori giovani. Piango un poeta eccellente la cui opera ora sta a noi custodire e tramandare come merita”, ha scritto su Facebook il suo collega Andrea Di Consoli.

Nato a Roma nel 1995, Galloni aveva esordito nel 2017 con la silloge poetica Slittamenti (Alter Ego – Augh! Edizioni). “Poesia come sopravvivenza? È una domanda interessante e anche ironica considerando che il mio ultimo libro ha come tema una ipotetica civiltà di morti. La poesia non è una forma di sopravvivenza personale o collettiva, ma letteraria. Una testimonianza del Nulla. Anche per questo non credo alla poesia civile o politica: è uno sbaglio culturale, prima ancora che estetico; e non basteranno tutti gli esempi del mondo a farmi cambiare idea. (Continua a leggere dopo la foto)


La poesia deve sopravvivere soltanto a se stessa. E poi, poesia o non poesia, può darsi che io finisca ugualmente per uccidermi. Dunque per me niente sopravvivenza“, questa una sua dichiarazione durante una intervista al sito laboratoripoesia.it. Di Gabriele, della morte di un poeta, della sua attrazione per la morte, della sua semi-invisibilità in un mondo di fin troppo visibili, scrive oggi in un bel ricordo la rivista Pangea, con cui Galloni collaborava: “Era spavaldo e umile, di intelligenza raddoppiata, sorrideva. Sorrideva anche se ci parlavamo solo per mail. (Continua a leggere dopo la foto)

Gabriele Galloni mi è stato donato da Matteo Fais, era il principio del 2018, Pangea era appena nata, la facevo in un capannone semivuoto con sguardo su case sfatte e campi di metallo. Mi venivano a trovare solo i piccioni. L’idea di Galloni era difficile, commossa, stupefacente. Intervistava i malati terminali. Quelli che avevano voglia di parlare della vita, della morte. La rubrica si intitolava “Cronache della fine” ed è una delle cose più candide e brutali che abbia pubblicato su questa rivista. (Continua a leggere dopo la foto)

Gabriele era attirato dalla morte come chi cammini sul bordo di una piscina vuota, profondissima, per tuffatori. Ancora di più, lo attraevano le storie disarticolate, deformi degli uomini. Forse pensava ai re taumaturghi, a quello cui basta toccare il lembo della veste per tornare sani. Da “Cronache dalla fine” volevamo trarre un libro, poi piagato tra le promesse parziali”.

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