Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni. Sono le 19.30 quando i giudici escono dalla camera di consiglio e leggono la sentenza. La corte ha escluso l’aggravante richiesta dal sostituto procuratore generale. E’ stato condannato anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale durante il periodo della condanna. Dovrà anche risarcire la famiglia della vittima, Chiara Poggi: la cifra totale è stata fissata in un milione di euro per padre, madre e fratello.
Cosa è successo nei vari tribunali
Quella di oggi è la quarta sentenza, al termine di altrettanti processi, che Alberto Stasi ha ascoltato per lo stesso reato: omicidio.
Le prime due furono di assoluzione; la terza, emessa dalla Cassazione, le ha annullate con l’invito ad approfondire le indagini, segnatamente alcuni indizi “trascurati”. La Cassazione aveva annullato la precedente assoluzione di Stasi i appello e rinviato gli atti alla magistratura milanese ritenendo necessaria una “rivisitazione e una rilettura” di tutti gli indizi, alcuni dei quali da approfondire con ulteriori accertamenti. È Alberto Stasi che il 13 agosto 2007 trovò il corpo senza vita nella villetta di via Pascoli a Garlasco (Pavia), ed è su di lui che hanno puntato dritto le indagini in tutti questi anni. Già assolto in due gradi di giudizio con sentenze poi annullate dalla Cassazione, Alberto chiede “giustizia, ma non a tutti i costi, non sulla sua testa”, a voler usare le parole dei suoi legali. “E’ arrivata per Chiara l’ora della giustizia, per me e per la mia famiglia”, dice la mamma Rita Preda che insieme al marito Giuseppe e al figlio Marco non perdono una sola udienza del processo. Preciso il monito della Cassazione: occorre una valutazione “complessiva e unitaria degli elementi acquisiti”; chiaro il quadro di indizi per l’accusa: “gravi, precisi e concordanti”; un “processo lombrosiano e senza prove” per la difesa. I giudici hanno valutato i nuovi elementi raccolti nel supplemento d’indagine: nuove perizie e il sequestro della bici di Alberto disposte dalla corte e le altre indagini delle parti.
La nuova “camminata sperimentale” – estesa ai primi due gradini della scala calpestati da Alberto prima di trovare la vittima – porta ad escludere, quasi matematicamente, la possibilità per Alberto di attraversare il pavimento sporco di sangue della villetta senza sporcarsi le sue Lacoste. Secondo gli esperti è da escludere che il sangue secco, una volta pestato, si sia disperso, mentre il numero di quella impronta a pallini lasciata da chi ha colpito a morte è un numero 42, lo stesso di Alberto.
Un esperimento effettuato sui tappetini della Golf nera – l’auto che Stasi usa per raggiungere la stazione dei carabinieri – certifica che qualche traccia di sangue doveva restare. Niente tracce di estranei nella villetta, nessuna ombra nella vita di Chiara, eppure in questo delitto mancano ancora l’arma e un movente certo. Le perizie per analizzare le unghie della vittima e il capello trovato nella mano di Chiara non danno esiti tali da avere valore di prova.
Un altro punto da risolvere erano le bici in possesso della famiglia Stasi. Il Dna della vittima sulla bicicletta bordeaux di Alberto porta al suo fermo (è il 24 settembre 2007, poi la scarcerazione dopo quattro giorni da parte del gip), ma è su una bici nera vista da una vicina davanti a casa Poggi la mattina del delitto che si concentrano le indagini. Alberto invertì i pedali tra le due bici quando la stampa iniziò a scrivere che si cercava una bici nera, la tesi della parte civile; c’è una terza bici mai trovata per la pubblica accusa.
Nel processo d’appello “bis” c’è stata anche la testimonianza di due carabinieri che parlano di due piccoli graffi visti sull’avambraccio di Alberto il giorno del delitto, a cui la difesa replica con la diversa testimonianza di un soccorritore. Una foto mostra che sulla maglietta rosa del pigiama di Chiara ci sono quattro impronte di una mano dell’assassino ma quando viene spostato il corpo la maglietta viene intrisa di sangue e addio ditate. Quella immagine svela che l’assassino si è sporcato e si è lavato in bagno. Lo dimostrano le impronte insanguinate delle scarpe. Poi, sul dispenser portasapone c’è una prova contro Stasi, a dire dell’accusa: il sangue della vittima misto al Dna di Stasi. Se chi ha ucciso ha lavato il dispenser quella traccia di Alberto non deve essere lì. Contro L’indagato, per il pg Barbaini, c’è anche una finestra temporale di 23 minuti – dalle 9.12 alle 9.35 – che consentirebbe all’allora studente di uccidere Chiara, tornare a casa e continuare a lavorare al computer per la sua tesi di laurea. Elementi che ad alcune omissioni, non fanno tentennare l’accusa su chi sia il colpevole. Tra poche ore si saprà se basteranno a condannare Alberto.